La storia che sto per raccontarvi ha dell’incredibile. Grazie alla tecnologia, però quello che in altri tempi poteva essere impossibile oggi è diventato realtà.

Ieri , attraverso un social, ho ricevuto un messaggio dal vicesindaco di Soddì, paesino vicino a Ghilarza nel centro Sardegna. Mi chiedeva notizie di mia madre, insegnante ultranovantenne in pensione. Era capitato per caso nel sito Memoro dove aveva trovato un video da me realizzato in cui  raccontava a sua nipotina  del suo primo anno di insegnamento ad appena 19 anni. Tra i ricordi descriveva un alunno particolarmente vivace, Celestino. Ebbene ,questo bambino è risultato essere il nonno del giovane vicesindaco .

Mia figlia era esterrefatta nel sentire dalla nonna le incredibili peripezie fatte per raggiungere il posto di lavoro e soprattutto le condizioni in cui lei doveva svolgere le lezioni. L’anno scolastico era il 1946/47.

Mia madre, qualche anno prima aveva anche pubblicato un libro dove raccontava tanti episodi legati alla sua vita di insegnante . Vi posto di seguito lo stralcio del libro e il video. 

Il primo distacco dalla famiglia avvenne nell’anno 1948-49 quando ricevetti l’incarico per insegnare nelle scuole elementari di Soddì, una frazione di Ghilarza in provincia di Cagliari.
Accompagnata da mia madre, affrontai il lungo e laborioso viaggio: Cagliari-Abbasanta in treno, Abbasanta-Ghilarza in corriera e da Ghilarza a Soddì in taxi, in assenza di mezzo pubblico.
Arrivate nella piazza principale, richiamando la curiosità di molti paesani, ci fu indicata una famiglia disposta ad affittare una camera con pensione completa, purtroppo senza energia elettrica come in tutto il paese e con l’uso del gabinetto a cielo aperto.
Vidi mia madre propensa a riportarmi a casa ma, dopo un momento di riflessione, considerando le condizioni critiche della mia famiglia uscita dissanguata dalla guerra con la perdita della casa crollata sotto i bombardamenti, decisi di accettare l’incarico.
Mi fu affidata una pluriclasse: la prima e la seconda classe in due turni di lezione.
Il primo giorno di scuola arrivai puntuale ed emozionata come una scolaretta e conobbi subito Angelina, la mia unica collega, a cui furono affidate le altre classi.
Risiedendo a Ghilarza andava avanti e indietro con la sua bicicletta, senza alcuna difficoltà.
Oltre ad insegnare dovevo badare all’igiene dell’aula, sostituendomi alla bidella.
L’aula aveva il pavimento di legno, brulicante di pulci e mancava il calorifero per combattere i rigori invernali.
Le bambine sembravano tante donnine in miniatura: indossavano le gonnelline lunghe e arricciate, le camicie bianche, scialletti sulle spalle e zoccoletti in legno. I maschietti vestivano pantaloni a mezza gamba, camiciole in tela e quasi tutti l’inverno scalzi.
Parlavano in dialetto e dovevo faticare per capirli e farmi capire più a gesti che a parole.
Per me la scuola continuava oltre l’orario scolastico perchè i miei scolari erano soliti sostare dietro le finestre della mia camera situata al piano terra.

La prima ad arrivare era Luisa, dalle treccioline bionde, molto graziosa ed espressiva. Spesso uscivo con loro come la chioccia come i pulcini e percorrevamo un sentiero da cui si dominava il lago Omodeo. I bambini durante la passeggiata mi raccontavano delle loro famiglie, esprimendosi per lo più in dialetto a volte incomprensibile per me…

Col sopraggiungere dell’inverno, i bambini venivano a scuola con dei barattoli colmi di braci ardenti, che deponevano ai piedi del loro banco per riscaldarsi.

I miei scolari erano tranquilli fatta eccezione per Celestino, prepotente ed aggressivo, che girava con un coltellino a serramanico in tasca. Quando chiedevo cosa intendesse fare da grande, Celestino rispondeva “su bandidu” , il bandito.

Una mattina, durante una passeggiata scolastica, si allontanò dal gruppo per scorrazzare da solo e quando lo riacciuffai sembrava un toro infuriato che non faceva prevedere nulla di buono.

Con tanta pazienza però vinsi in seguito la sua  aggressività: si appassionò alla vita scolastica imparando così a leggere e scrivere. Disegnava spesso la sua campagna, le pecore, i pastori, riuscendo a coglierne i colori e il movimento. Alla fine dell’anno quasi tutti avevano imparato a capire e scrivere in italiano.

Celestino nel salutarmi, prima di lasciare Soddi’, mi regalò come ricordo, il suo coltellino a serramanico.


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