Ecco l’articolo di Andrea Bajani, pubblicato sul "Sole 24 Ore" del 7 dicembre 2008, allegato in stralcio nei documenti che corredano la traccia del tema su "Social Network, Internet e New Media"

I giornali riportano che il 32 % dei maturandi  ha svolto quel tema!!

 

Agli anziani le banche non son mai piaciute un granché. Le hanno sempre guardate col cipiglio di chi pensa che invece che aumentare, in banca i risparmi si dissolvono, e poi quando vai a chiederli non ci son più.

Sono cresciuto in un paese in cui i vecchi se ne tenevano a debita distanza.

Stavano dall’altra parte della strada, e la puntavano dritta, la faccia ingrugnita, le mani incrociate dietro la schiena che si ciondolavano il bastone.

Passavano le macchine, passavano i camion, e dopo che erano passati i vecchi erano sempre lì a puntare l’insegna della banca, e con l’insegna anche la gente che entrava e che usciva.

Stavano lì schierati a guardar tutti male, sembrava un duello tra gli antichi e i moderni, tra passato e futuro. Mi dicevano che i vecchi del paese i soldi li tenevano sotto il materasso, figurarsi se si fidavano a lasciarli alle banche.

Sono cresciuto pensando alla liturgia finanziaria di questi signori, che la sera tiravano su il materasso, distribuivano le mazzette in maniera uniforme, e poi ci si sdraiavano sopra facendo sonni perfetti, sognando di comprarsi tutto il paese, magari pure la banca.

Così, per come la vedevo io allora, essere ricchi o essere poveri era questione di distanza da terra a cui si dormiva.

I poveri avevano poche banconote da infilare sotto il materasso, il loro letto era sottile, dormivano con parsimonia, persino un po’ scomodi.

I ricchi viceversa li immaginavo con un materasso che si arrampicava su per la stanza, a russare a pochi centimetri dal soffitto, e accanto una scala a pioli per scendere la mattina, rimontare la sera e poi abbandonarsi al loro pesantissimo sonno di ricchi.
È per una curiosa forma di contrappasso che ora sono proprio gli anziani, e non i loro risparmi, a finire dentro una banca, archiviati come conti correnti. Si chiama «Banca della memoria» ed è un sito internet (www.bancadellamemoria.it) che archivia esperienze di vita raccontate nel formato della videointervista da donne e uomini nati prima del 1940.

I quattro soci che hanno dato vita al progetto (Franco Nicola, Lorenzo Fenoglio, Valentina Vaio e Luca Novarino) si sono messi in viaggio e hanno attraversato l’Italia da Merano a Ragusa con una piccola videocamera digitale.

Durante il viaggio hanno intervistato decine di anziani, li hanno invitati a parlare di sé, del loro passato, dell’Italia che non c’è più.

Sono entrati nelle loro case, si son seduti nei loro tinelli, hanno montato la videocamera e poi hanno lasciato che gli intervistati parlassero a ruota libera, contrappuntando appena i ricordi con sollecitazioni, domande, richieste discrete di chiarimenti. Una volta finito il viaggio, le conversazioni sono state suddivise in brevi filmati, archiviati per argomenti e poi caricati sul sito. 

Giorno dopo giorno l’approvigionamento prosegue, un po’ grazie al lavoro della redazione, e un po’ grazie ai filmati inviati dai frequentatori del sito per propria iniziativa mnemonica.

È una sorta di «YouTube» della terza età, questa «Banca della memoria», una vendetta degli anziani nei confronti dell’esibizionismo tecnologico dei ragazzi.

C’è una forma di nostalgia, nel vederli parlare, nell’osservarne gli abiti, nel tentare di indovinare le tappezzerie alle loro spalle, i tavoli spogli, un bicchiere e un piatto rovesciati ad asciugare accanto al lavello, il giradischi, la cravatta messa per l’intervista, gli occhi lanciati un po’ in aria per ricordare e un po’ in faccia agli intervistatori per vedere l’effetto che fa.

C’è Ottavio Palmia, classe 1916, che racconta di una prigionia di guerra a suo modo fortunata, nelle grinfie di inglesi indulgenti.

C’è Giuseppe Ferrara che racconta il suo 8 settembre, vissuto su una nave al largo di La Spezia, gli alleati che all’improvviso diventano nemici, e la sospensione di chi non sta da nessuna parte, la terra lontana e il mare tutto intorno.

Poi c’è Tino Luparia, classe 1930, che con acuta autoironia si dilunga sul primo bombardamento su Torino.

Racconta di un pezzo di un cavallo piovuto in cortile, che prima era un cavallo intero e che poi un’esplosione ha sparato in aria. Imbeccato dalla moglie fuori campo, Tino Luparia descrive l’espressione sbalordita dei presenti e infine la decisione di conservare la carcassa e poi banchettare a fine guerra.

È deliziosa e spassosa l’intervista a Teresina Bruno (89 anni) vestita di bianco per l’occasione, seduta compunta su una sedia, che racconta le sue lezioni di guida per la patente C, la freccia del camion che non funzionava e lei che sporgeva il braccio per girare; il camioncino che a volte non partiva, e Teresina scendeva giù, andava davanti al muso del camion e tirava la manovella con tutta la forza che aveva. Ma c’è molto altro, nella «Banca della memoria»: i corteggiamenti nella Sicilia degli anni Cinquanta, lo spaesamento dopo l’armistizio, l’impressione festosa che la guerra suscitava nei bambini, le luci che illuminavano il cielo, gli scoppi; e poi la dedizione assoluta per il lavoro, la disciplina della scuola di un tempo, in cui convivevano severità e rispetto, crudeltà e pedagogia.

articolo di Andrea Bajani

"Sole 24 Ore"

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