Tra le delle tante cose  che mi hanno sempre affascinato fin da piccola, ci sono  le fiabe o favole.
Queste storie, non sono altro che racconti di vita di tutti noi attraverso dei simboli o personaggi fantastici o animali, con  le tante situazioni che affrontiamo giorno dopo giorno, e soprattutto con una morale .

Ancora oggi , quando mi trovo a vivere un determinato episodio di vita ho come la sensazione di sapere come andrà a finire perchè ripenso a certe fiabe.  Ricordo con molta nostalgia le Fiabe Sonore, edito da Fratelli Fabbri. E’ una raccolta di libri illustrati con dischi 45 giri abbinati  . Conoscevo a memoria tutte le parole, i dialoghi e le canzoni che ancora oggi ricordo benissimo.
C’è stata però  una fiaba che forse non ho mai sentito o se l’ho sentita non me la ricordo:   l’Usignolo dell’imperatore.
Oggi   la voglio raccontare sul mio blog.

C’era una volta l’imperatore della Cina , sempre annoiato.

E’ normale. Quando uno ha tutto, non si accontenta mai di nulla.
Conosceva a menadito tutti i saloni del suo palazzo di porcellana, tutti i fiori che sbocciavano nei suoi giardini, tutti i cavalli che scalpitavano nelle sue scuderie. Un giorno, per caso, leggendo un libro straniero, scoprì che c’era qualcosa, nel suo regno, che non conosceva: un usignolo dalla voce dolcissima, nascosto nel folto di un bosco non lontano dalla reggia, il cui canto, si diceva, era la cosa più bella del mondo.

L’imperatore andò su tutte le furie perchè nel suo impero viveva una simile meraviglia e nessuno gliene aveva mai parlato! Possibile?
Fece subito chiamare le guardie di palazzo.
“Cercate l’usignolo dalla voce d’oro che vive nel bosco vicino alla reggia e guai a voi se non lo trovate: finirete tutti in prigione! Avete tempo fino a stasera. Al tramonto l’usignolo dovrà essere qui e canterà per me“.
Le guardie partirono, frugarono ovunque, ma invano.
Allora tornarono a palazzo e cominciarono a chiedere a tutti notizie del misterioso usignolo. Finalmente, il capo delle guardie ebbe la fortuna di imbattersi in una servetta che sapeva qualcosa.
“Certo che conosco l’usignolo!- disse –  Ogni sera, quando ho finito il servizio nelle cucine reali, vado a casa per portare qualche avanzo alla mia mamma e, attraversando il bosco, sento sempre l’usignolo cantare!”
” Ha una voce davvero tanto bella?” – chiese il capo delle guardie.
” Tanto bella che, quando la sento, mi viene da piangere“.
Il capo delle guardie le promise un posto di capo-cuoca se lo avesse guidato là dove l’usignolo aveva il nido. La servetta accettò. Poco dopo i due erano davanti ad un grande albero frondoso. Un trillo argentino risuonò nell’aria.
“Ecco l’usignolo, là, su quel ramo! ” – esclamò la servetta, indicando il minuscolo uccellino grigio.
Il capo delle guardie era piuttosto deluso: ” E’ piccino” – disse l’uomo- “ma canta bene”
Poi gentilmente si rivolse all’usignolo: “Uccellino, l’imperatore vuole che tu canti per lui al palazzo reale.”
“Il mio posto è qui nel bosco, in libertà” – rispose l’usignolo, -” ma se l’imperatore me lo ordina, verrò a cantare per lui”.
Si appollaiò sulla spalla del capo delle guardie e si lasciò condurre al galoppo fino alla reggia.
Poco dopo, davanti alla corte al gran completo, l’usignolo dava inizio al concerto. E cantò così bene che l’imperatore piangeva di gioia.
“Caro uccellino” – disse quando l’usignolo ebbe finito di cantare,- “devi restare sempre con me. Ti tratterò con tutti i riguardi, farò costruire per te un trespolo d’oro, vivrai nella mia camera”.
L’usignolo chinò tristemente il capino: “I tuoi desideri sono ordini, maestà.”
Perchè l’usignolo non si annoiasse, sempre chiuso nel palazzo, l’imperatore gli permetteva di uscire due volte al giorno, ma accompagnato da dodici servitori che lo tenevano legato per la zampina con dodici cordicelle di seta. Non erano passeggiate divertenti, ma l’usignolo si accontentava.
Passarono i mesi. Un giorno, l’ambasciatore di un lontano paese portò in dono all’imperatore una scatola di legno smaltato. Dentro c’era un meraviglioso usignolo meccanico, tutto tempestato d’oro e di pietre preziose.  Sotto le piume di madreperla c’era una chiavetta: bastava girarla e l’uccellino cominciava a cantare una bella melodia, la stessa che gorgheggiava l’usignolo vero. L’imperatore gradì molto il dono.
“I due usignoli canteranno insieme davanti alla corte” disse.
Purtroppo, il concerto non andò molto bene. L’usignolo vero cantava come gli dettava il cuore, quello meccanico ripeteva le stesse note senza mai cambiare.
L’imperatore si entusiasmò tanto di quella precisione da ordinare che l’usignolo vero tacesse per far cantare, da solo, quello finto.
Gira e rigira la chiavetta, il giocattolo cantò fino a che l’imperatore non volle sentire di nuovo l’usignolo del bosco. Ma l’usignolo era introvabile. Aveva approfittato della distrazione dei cortigiani per tornare, libero ma triste, nel suo nido tra gli alberi.
I cortigiani dissero che era una bestia ingrata e pregarono l’imperatore di far cantare ancora il docile usignolo meccanico. Il giorno seguente anche il popolo poté sentirlo. Molti si entusiasmarono, ma chi conosceva la voce dell’usignolo vero affermò che non c’era confronto tra i due, che le canzoni dell’uccellino dei boschi nascevano dal sentimento, quelle dell’altro da una molla. E la differenza si sentiva, eccome!
Il piccolo usignolo, nascosto tra i rami degli alberi, per qualche giorno non cantò. Poi, riprese a gorgheggiare; se non c’era più l’imperatore ad ascoltarlo, poteva sempre rallegrare contadini e boscaioli.
Intanto l’imperatore aveva dimenticato il suo piccolo amico, preso com’era dall’usignolo meccanico. Lo teneva su un cuscino di seta, lo caricava di continuo. Un giorno, ahimè, mentre l’usignolo cantava la sua solita canzone, si udì un cigolio e poi uno schianto: una delle molle del delicato meccanismo si era rotta. Il più bravo orologiaio della capitale, chiamato in gran fretta, smontò l’usignolo, cambiò la molla rotta, poi scosse la testa:
“Maestà, ho fatto del mio meglio, ma ormai il meccanismo è consunto. Se volete che l’usignolo duri ancora, fatelo cantare solo di tanto in tanto.”
Una volta l’anno“. promise l’imperatore.
“Si, Maestà, una volta l’anno penso che vada bene”. assicurò l‘orologiaio.
Trascorsero cinque anni, poi, un brutto giorno, l’imperatore si ammalò tanto gravemente da far temere per la sua vita. Nessun medico riuscì a trovare un rimedio e allora i vili cortigiani, convinti che per il loro signore non ci fosse più niente da fare, uno ad uno lo abbandonarono alla sua sorte.
Una sera, mentre l’imperatore giaceva nel suo letto, ecco giungere la Morte con una spada in pugno:
“Devi venire con me, Maestà: è arrivata la tua ultima ora.”
” Così presto? ” sussurrò l’imperatore. “Mi restano ancora tante cose da fare! Pazienza…potrei almeno ascoltare un po’ di musica?”
” E sia” concesse la Morte.
L’usignolo meccanico era adagiato sul cuscino di seta accanto al letto, ma non abbastanza vicino perchè l’imperatore riuscisse a prenderlo ed a caricare la molla. Il bel giocattolo restava muto, mentre l’imperatore sentiva le forze abbandonarlo sempre più. D’improvviso, dal giardino si alzò un canto dolcissimo, inconfondibile. Era l’usignolo vero. Aveva saputo della malattia del suo signore e, dimenticando i torti subiti, veniva a consolarlo con le sue melodie. Trilli, gorgheggi, note limpide come l’acqua di fonte sgorgavano dalla minuscola gola dell’usignolo e tutto sembrava più bello: la luce del giorno, la trasparenza del cielo, i colori dei fiori. L’imperatore si alzò a fatica dal letto e si affacciò alla finestra, la Morte lo seguì, come stregata. L’imperatore ascoltava e si sentiva rinascere; la Morte ascoltava e provava nostalgia del suo buio regno. Quando l’usignolo tacque, la nera signora era scomparsa silenziosamente nel nulla.
L’imperatore tornò a letto e cadde in un sonno profondo, quando si svegliò era perfettamente guarito. Accarezzò teneramente il piccolo usignolo che si era appollaiato sulla sua mano e gli sorrise.
Usignolo mio, sono stato un ingrato, perdonami.! Che cosa posso fare per dimostrarti la mia infinita riconoscenza?”
“Sono felice della tua guarigione e questo mi basta”, rispose l’usignolo. “Una cosa sola vorrei: non essere costretto a tornare qui palazzo, prigioniero, ma vivere nel bosco e venire a trovarti ogni volta che lo desideri, mio signore. Canterò per te, ti racconterò tutto ciò che accade nel tuo regno in modo che tu possa governare sempre meglio. ”
“Sarà fatto” sussurrò, commosso l’imperatore.
Con un trillo gioioso l’usignolo volò via; ma tornò ogni giorno, fedele alla promessa ed ogni giorno sparse ovunque gioia e saggezza intorno a sè.

Questa fiaba di Christian Andersen è stata utilizzata dal musicista Igor Stravinskij per la sua opera lirica Le Rossignol ,prossima opera in programma al Teatro lirico di Cagliari insieme all’opera pucciniana Gianni Schicchi.

foto tratta da Infanzia

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