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L’affermazione dello spettatore non si rivelò purtroppo profetica: infatti, quella, se si eccettua una rappresentazione romana del 24 settembre 1960 eseguita in forma oratoriale nell’Auditorium del Foro Italico, fu quella l’ultima volta che I Shardana andò in scena. Come profetica non fu neanche l’affermazione dell’illustre etnomusicologo tedesco Felix Karlinger il quale riteneva che I Shardana avesse “[…] imboccato la strada giusta per diventare l’opera nazionale sarda par exellence” (Musica, 1960).

Ma non fu così, eppure siamo certi che oggigiorno la rappresentazione de I Shardana nei teatri sardi (e non) potrebbe costituire e garantire una cospicua affluenza di pubblico. Per ciò che concerne la nostra opera lirica ne siamo più che certi, anche perché due acuti articoli sull’andamento della stagione musicale cagliaritana 1959-60 confermano come una tendenza in questo senso fosse percepibile già da allora: “Il repertorio operistico era costituito da La dannazione di Faust di Berlioz, La Fiamma di Respighi, I Shardana di Porrino e quattro operine del Settecento. Delle opere in cartellone I Shardana e le operine sono state quelle che hanno chiamato in teatro un pubblico maggiore. Si comprende facilmente la ragione di tale fenomeno per quel che riguarda la degna commemorazione del maestro Porrino, figura notissima ed apprezzata nell’ambiente cagliaritano, ma l’affluenza all’esecuzione delle operine del Settecento […] smentisce l’assioma secondo il quale il pubblico della nostra città preferisce un repertorio a base di spartiti ben noti, vale a dire Verdi, Puccini e Giordano, tanto per citare i nomi più noti anche agli sprovveduti” (Il popolo sardo, 12 aprile 1960).

Mentre Gavino Gabriel tuonava: “Il problema del «repertorio operistico» nella lirica ci potrebbe indurre qui a un’estesa parentesi. Ci limitiamo a dire che l’audizione de I Shardana di Porrino, l’altra sera alla radio, è servita solo a ispirarci un sentimento di rammarico […] per la prevedibile impossibilità di poter presto riascoltare un’opera che i Sardi non possono non sentire come espressione della propria tradizione musicale. E tanto è maggiore il rammarico, se si considera la sfilza di opere arcinote che riascolteremo di anno in anno in stanche riedizioni. Come si potrà interessare il grosso pubblico alla musica nuova, quando lo si impigrisce con quattro romanze che tutti sanno a memoria? Parentesi chiusa” (L’Unione Sarda, 30 ottobre 1960).

[…] Mio obiettivo iniziale era anche quello di accennare a quali potrebbero essere state le ragioni del perché I Shardana non sia mai più stata rappresentata in alcun teatro – né sardo né del «Continente» – dall’ormai lontano 18 marzo del 1960. La mancata rappresentazione de I Shardana rappresenta, a nostro avviso, soltanto la punta dell’iceberg di una politica culturale distorta che affonda le sue radici negli anni Cinquanta e Sessanta in Sardegna. Proprio in quel ventennio nell’isola andava sacrificandosi una cultura millenaria sull’altare di un’industrializzazione assolutamente inadatta al tessuto socioculturale isolano. La cultura sarda intesa come segno portatore di una diversità storica, linguistica, letteraria e musicale completamente differente da quella dell’Italia continentale, facevano dell’isola una vera e propria nazione (culturalmente intesa) all’interno dell’Italia. L’operazione economica, soprannominata allora Piano di Rinascita, convogliò nell’isola ingenti somme destinate appunto allo sviluppo dell’isola ma nel contempo significò per la Sardegna la rimozione di tutti quei saperi millenari di cui essa era depositaria: la storia (sarda), la lingua (sarda), la letteratura (sarda), la musica (sarda). Nella didattica dell’insegnamento della lingua italiana una cospicua fetta del corpo docente non tenne assolutamente in considerazione che allora la stragrande maggioranza dei bambini proveniva da famiglie sardofone e che l’italiano era per gli scolari una vera e propria lingua straniera. L’abbandono scolastico raggiunse livelli da record e generò nei sardi un autentico rifiuto della propria lingua e cultura respinta violentemente dalla cultura dominante. Anche le antichissime tradizioni musicali sarde, basti pensare all’antichissima polifonia vocale e strumentale sarda, subirono una battuta d’arresto. La “vera” modernizzazione, anche musicale, non parlava, come naturale, in due lingue, ma solo in italiano, e i sardi la seguivano, affascinati… nonostante il monito di alcuni etnomusicologi stranieri, tra cui Felix Karlinger: “Ciò che in senso speciale è musica sarda può in senso lato valere come musica della civiltà occidentale, come fonte primordiale di quel retaggio dal quale furono alimentati molti secoli di storia musicale europea. Ciò che qualche ignorante deride come primitivo e barbaro, ciò che qualche sardo stesso solo con un po’ di vergogna scopre davanti al forestiero, perché egli crede che la sua musica sia troppo semplice, appartiene in realtà a quel sostrato comune dal cui seno uscirono tutti i grandi e famosi compositori del nostro continente: dal Palestrina a Verdi, da Orlando di Lasso a Mozart, Beethoven, Wagner. Ché se in un museo contempliamo con muta venerazione i resti di civiltà da lungo passate, tanto più dobbiamo apprezzare i tesori che sono contemporaneamente antichi e vivi, che non hanno perduto nulla del loro splendore, che continuano a fiorire, in dimessa semplicità e grande bellezza, in mezzo alla falsità del nostro tempo” (1958).

In un momento storico-politico in cui le peculiarità regionali iniziavano timidamente ad assumere carattere distintivo e, politicamente, a divenire “significanti”, si pensò evidentemente, più per ignoranza e incapacità didattica che per effettiva volontà, di operare in Sardegna una sorta di manipolazione semiotica discriminando, soprattutto all’interno della scuola, la lingua e la cultura sarda che purtroppo sfociò in un autentico saccheggio culturale. Ma gli anni Cinquanta sono ancora all’insegna della speranza. Nel campo musicale, infatti, sarà ancora Porrino, ben consapevole del rischio che correva la cultura musicale sarda, a sferzare un vero e proprio “colpo da Maestro” quando, proprio nel 1957, anno successivo alla sua nomina di Direttore del Conservatorio Giovanni Pierluigi da Palestrina, darà l’annuncio dell’istituzione di una cattedra di Etnofonia Sarda presso il medesimo conservatorio cagliaritano. Così Porrino: “Nessuna regione italiana, forse, ha un patrimonio etnografico così importante […]. Più volte mi sono preoccupato, nel timore che questo prezioso materiale andasse disperso a causa della evoluzione dei tempi e del gusto che comporta un logoramento e una corruzione di tutto ciò che si tramanda per via mnemonica di generazione in generazione… Mi ero anche chiesto perché le autorità e gli studiosi sardi non provvedessero a tamponare questa specie di «emorragia» o di «leucemia» come dir si voglia; assunto lo scorso anno l’incarico della Direzione del nostro Conservatorio […] proposi al Ministero della Pubblica Istruzione, d’accordo col Presidente Crespellani, la creazione di una nuova cattedra, cioè della Cattedra di Etnofonia Sarda […]. È tema dire che questo corso avrà un carattere culturale, estensibile quindi a tutte le categorie di studiosi; cioè non solo agli studenti di musica di qualsiasi corso, ma anche a studenti e studiosi in genere che, per i loro studi (letterari, critici, filosofici ecc.) e per la loro preparazione oltreché per la particolare disposizione, siano desiderosi di approfondire questa materia e portare anche il loro eventuale contributo di personali esperienze. Perché questo corso vuole essere anche il punto di partenza per la realizzazione di un Centro di studi e di raccolta di materiale […]. Il Corso verrà affidato al più illustre ed emerito cultore della materia: al prof. Gavino Gabriel che […] inizierà le sue lezioni con una prolusione su L’etnofonia nello studio delle tradizioni popolari e l’etnofonia sarda. Proseguirà il Corso soffermandosi su tre aspetti della materia: le voci, gli strumenti musicali, le «forme» di espressione musicale […]” (Il Tempo, 1957). Ma la cattedra di Etnofonia Sarda “muore” con la scomparsa di Porrino, e anche I Shardana, non solo capolavoro musicale ma opera con chiare connessioni identitarie fu occultata e considerata politicamente non opportuna, quindi, “pericolosa” al pari della lingua, della letteratura e della musica sarda, verrà, volontariamente o no, “dimenticata”, bandita dai teatri dell’isola e, soprattutto, rimossa dalla memoria dei sardi, da tirare fuori dal cassetto musicale dopo cinquant’anni…

 Stralcio dalla prefazione di Giuanne Masala, in: Ennio Porrino, I Shardana – Gli uomini dei nuraghi: dramma musicale in 3 atti, Stoccarda 2009 (www.sardinnia.it), volume contenente il libretto d’opera in tre atti a firma dell’autore, nonché le critiche all’indomani della rappresentazione al Teatro San Carlo di Napoli (1959) e al Teatro Massimo di Cagliari (1960). Fotografie inedite di scena della «prima», i bozzetti di Màlgari Onnis Porrino, una prefazione di G. Masala, un articolo di F. Karlinger sulla sardità dell’arte porriniana, un’intervista al compositore, la lettera-testamento di Porrino e altri materiali inediti rievocano una delle giornate più memorabili della storia dell’opera lirica contemporanea.

One response

  1. Ancora da Los Angeles un messaggio di Arthur:
    Egregio Signor Masala,
    Tantissime grazie per il Suo risposto. No puo’ immaginare la mia gioria di avere le Sue parole, impartite con tanta generosita’. Certamente, ne ho fatte una copia per preservarle.
    Mi pare che finalmente io sia alla portata di acquistare la registrazione preziosa. Favoloso…e a causa di Lei–in due sensi: Lei come Informatore, e, molto piu’ straordinariemente, come Creatore.
    Che bella fortuna per me!
    Qualche anno fa, quando sviluppavo la mia collezione operistica CD, favorendo il periodo 1925-1955 (voci come Gigli, Caniglia, Bechi, Stignani, Tagliavini, Dal Monte, ecc.), comprai una registrazione marca “Lebendige Vergangenheit” che riprodusse la voce, in concerto, del basso Tancredi Pasero, gia mi conosciuta in Ballo, Aida, Forza, ecc. Inclusa era l’aria “Io per diritto antico” de Gli Orazi, dello stesso maestro sardo.
    Non soltanto la musica dell’aria stessa, ma anche–e possibilmente piu’–la musica orchestrale che l”accompagnava” (parla inadeguata!) mi tocco’ profondamente. In questa ascoltavo dimensioni; atmosferi; concordanze fra evi, epoche, pianure, promontori, mari! Tutti quelli soltanto–immagina, Signor Professore–in poche frasi di questo breve brano. Da quel momento, dovei trovare quest’opera in registrazione. Immediatemente parlo’ con il Sig. Giancarlo Bongiovanni della firma illustre “Bongiovanni”–un quasi mio amico con cui parlavo sul telefono alle ore 2 del mattino (Los Angeles) per fare compre da lui (non accettava egli le carte di credita; invece, gli spedivo un assegno bianco fidelmente utilizzato da lui). Mi disse lui che non c’era nussuna registrazione dell’opera, e, nonstante che tante, tante opere nuove e antichissime e oscure apparivano nella scena quasi ogni qiorno, non c’era nulla speranza di trovare Gli Orazi cosi’ disponibile.
    Da quel momento fino alla settimana scorsa, rimanevo senza la musica dello stesso maestro, esclusione di un CD che celebra qualche bellissimo brano in modo sardo. E un mio tesoro.
    Adesso, GRAZIE A LEI, sono vicino alla possessione, tanta desiderata, de I Shardana–scoperta imprevedibile!
    Non La disturbero’ piu’; scrivero’ alla signorina Merz–forse in italiano e inglese (i tedeschi sono sovente versati in inglese). Signor Professore, se non e’ un’imposizione, vorrei domandare se posso spedire un assegno bianco (se non si accettono carte di credita): 1. Per la Sua baldanza, non mi spedisca il cofanetto coi CD finche l’assegno sia incassato; 2. Utilizza, La prego, imballagio “extra,” o una cassa d’imballaggio piu’ grande che necessario ordinariamente (a causa del maneggiando rozzo delle servizi postali). 3. Prenda, La invito, piu’ denaro come onorario volontieri conceduto, per i Suoi servi, tanti generosamente prodigati su di me. Posso provedere riferimento al Sig. Bongiovanni, che attestera’ alla sistemazione assegno-bianco che gli era soddisfacente. Credami, paghero’ qualsiasi prezzo per I Shardana.
    I Shardana! Bellissimo zefiro da Sardegna e dal Maestro–venendo a me alfin!
    Signor Maestro, non trovo parole adeguate per esprimerLe la mia gratitudine.
    Voglia gradire i piu’ cordiali saluti, Suo
    Arthur
    Egregio Maestro,
    Sono molto commosso che Lei penserebbe di scivermi ancora una volta, affinche sia io possa rintracciare piu’ su Ennio Porrino.
    Nel frattempo pensai che un miglior modo di pagarLa sarebbe una VAGLIA in denominazione EURO–perche il mio assegno denota DOLLARS. Credo che non posso soprascrivere “Euro” sul assegno che specifica “Dollars.”
    “Saludos Mannos”–e’ questo in lingua sarda? Vorrei apprendere qualcosa di questa lingua. La mia famiglia e’ d’origine francese e italiana. Ma per me la Sardegna pare una mia patria dell’anima. Non so il perche, ma trovo mio “sangue,” per cosi dire, nella musica del Maestro Porrino–e di piu’. Anche nelle imaggine del isola, per esempio.
    Tantissime grazie pel link. Purtroppo, amici condivendo interessi come questi son pressoche zero. La cultura qui–arghhh! Il TV regna, con la sua imbecilita’. L’epica che descrive I Shardana, con sua musica di civilta’ anziana, infonde la vita nelle mie vene d’anima nel mezo di una cultura tanta anemica. Ho interesse anche negli scritti su Porrino da Lei compilati. Ma devo dapprima pagare per le registrazione tanta anticipata.
    Belle ferie, Signor Professore, e grazie ancore pei “link” sui Shardana. Spero che non La disturbo con tutto questo (e mi perdoni, La prego, il mio brutto italiano).
    Right On,
    Arthur

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