Mi spiace doverlo dire, ma questa Traviata di Giuseppe Verdi, opera inaugurale della stagione 2013 al Teatro alla Scala è veramente da dimenticare  . In un momento in cui i Teatri lirici stanno soffrendo, trovo ingiusto proporre un’opera con questi elementi musicali e registici.
La Traviata è l’Opera italiana per eccellenza che nell’anno verdiano e nel teatro più importante del mondo andava, a mio avviso, rappresentata con un cast tutto italiano. Ma  cosa abbiamo visto?
L’ambientazione era più o meno ai giorni nostri, (e vabbè, questo è il meno peggio); la regia che ha evidenziato  il degrado sociale degli ambienti “bene” (anche questo ci sta); ma la gestualità e gli elementi scenici ? Per dirne una: Alfredo, nella casa di campagna  è intento a stendere la pasta su un tavolo, quasi a volerlo ridicolizzare e relegare in un ruolo che, all’epoca, era esclusivamente della donna e, in quell’ambiente, ad una serva.
Penoso!
Nel terzo atto Violetta è moribonda ma bazzica fra bottiglie di superalcolici e psicofarmaci e ride e piange come una  pazza. Ma il regista aveva capito che l’opera era La Traviata e non Lucia di Lammermoore?  Ma la tisi portava alla pazzia? Non mi risulta.
Al suo fianco una Mara Zampieri nel ruolo di Annina, con tanto di capigliatura punk rosso fuoco,  si muoveva a casaccio sulla scena e vocalmente preferisco tacere.
L’arrivo di Alfredo. Quel momento che raggiungerà l’apice poetica con “Parigi o cara“, in cui l’abbraccio sarebbe stato la logica conseguenza di una storia tormentata, diventa quasi un fastidio. Alfredo arriva con fiori e scatola di dolci, forse meringhe, e, vedendo Violetta, le consegna gli omaggi ma non la sfiora neppure per un attimo. La guarda a distanza , quasi schifato di averla trovata in quello stato. E’ possibile.
Col Dottore,  Giorgio Germont, Annina, Alfredo, Violetta, l’opera chiude un siparietto comico fatto di movimenti meccanici e ridicoli come burattini e che vedono la protagonista morire su una sedia dopo aver raggiunto l’apice della pazzia.
Dal punto di vista musicale, il direttore Daniele Gatti ha tenuto tempi lentissimi soprattutto in  quella parti in cui Verdi gradiva allegro  e vivace; non lo dico io ma la partitura lasciata dal maestro di Busseto. I tempi spesso subivano anche dei rallentamenti e degli accelerandi inaspettati.  La festa del secondo atto pareva un funerale con una Flora inascoltabile vocalmente, (chissà quante artiste del coro avrebbero fatto decisamente meglio di lei!) .   Vocalmente gli altri protagonisti erano più che accettabili ma a farla da padrona è stata sicuramente la  Diana Damrau che, vittima di un regista confuso, ha comunque messo in evidenza qualità vocali e sceniche di tutto rispetto.
Applausi ma anche tanti buu soprattutto per regista e direttore. Traviata da dimenticare o ricordare a seconda dei gusti.
Qui un articolo correlato dal sito Classica online

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