Ed eccoci giunti ad un nuovo appuntamento della stagione Sinfonica cagliaritana 2014. Un appuntamento che questa volta prevede ancora un brano  per coro. E’ una messa molto particolare perchè la sua struttura sembra più una raccolta di lieder che non una composizione con le caratteristiche del rito liturgico. Per ulteriori dettagli però ho chiesto al maestro del coro Marco Faelli di presentare lui questa composizione in modo che il pubblico (tra cui molti lettori di questo blog) possa arrivare preparato all’appuntamento.

Franz Schubert

Deutsche Messe

 

Nel 1827 Schubert scrive la “Deutsche Messe”, per coro misto, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni, organo. La Messa, una sequenza di lieder religiosi su testo non liturgico, gli viene commissionata daJohann Philipp Neumann, che è anche autore del testo.

Neumann, austriaco e cattolico, è personaggio poliedrico: religioso, fisico, poeta, editore, diventa nel 1811 Rettore dell’Università di Graz, e nel 1815 Professore al Politecnico di Vienna. Amico di Schubert, gli chiede di comporre una Messa semplice, che possa essere eseguita anche dall’assemblea dei fedeli, o che, comunque, risulti facilmente comprensibile. La “Deutsche Messe”, però, non ottiene ”Imprimatur”, e non sarà mai eseguita in contesto liturgico durante la vita dell’autore.

La “Messa Tedesca”, o “Deutsche Messe” è un genere liturgico-musicale che ha radici antiche: già nel Medioevo, in Austria e Germania si cantano inni in tedesco durante la Messe o altre cerimonie religiose. Nel secolo XIII appaiono anche versioni tedesche del “Proprio” della Messa (cioè delle cosiddette “parti mobili”, che variano durante l’anno liturgico), cantate dopo la lettura del brano corrispondente in latino.

La “Messa tedesca”, infatti, è una “Messa Bassa”, o “Missa Lecta”, dove il celebrante legge completamente il testo, diversamente dalla “Messa Alta” o “Missa cum canto”, dove all'”incipit” intonato dal sacerdote segue il canto della “Schola Cantorum”.

L’uso d’introdurre nella Messa brani in tedesco, nasce dall’esigenza di consentire ai fedeli una comprensione almeno parziale dellaCelebrazione Eucaristica: rigorosamente recitata in latino, infatti, risultava pressoché indecifrabile anche in Italia e, a maggior ragione, in ambiente germanico. I corali di Lutero, introdotti con la Riforma per favorire la partecipazione del fedele al servizio divino, hanno come antecedente proprio la pratica della “Deutsche Messe”; e quando il Concilio di Trento riordina definitivamente la liturgia cattolica, l’Imperatore Ferdinando I (fratello di Carlo V) chiede ai Padri conciliari di consentire ancora la pratica della “Messa tedesca”, che continua a essere praticata in Austria e nei Principati cattolici della Germania del sud.

Durante l’Illuminismo il genere ha un ulteriore sviluppo, con la creazione della “Deutsche Singmesse” (“Messa cantata tedesca”), per opera soprattutto dell’Imperatore Giuseppe II (il protettore di Mozart, chiamato anche il “Re Sagrestano” per i suoi frequenti interventi riformatori nelle questioni religiose dell’Impero).

Nel 1777 viene pubblicata la liturgia cattolica in tedesco, e la “Messa cantata tedesca” assume la struttura seguente: il sacerdote legge sottovoce il testo in latino (è una “Missa lecta”, come si diceva) e i fedeli (o la “Schola Cantorum”) cantano contemporaneamente inni in tedesco che parafrasano l’Ordinario della Messa (cioè le parti fisse: Introito, “Gloria”, “Credo”, Offertorio, “Sanctus”, Consacrazione, “Agnus Dei”).

Lo sviluppo della “Deusche Singmesse” è anche favorito dal divieto di Giuseppe II di eseguire le Messe “concertate”, cioè le Messe con orchestra, genere troppo evidentemente spettacolare e profano.

Scrivono “Deutsche Singmesse”, tra gli altri, Michael Haydn, Leopold Mozart, Franz Xavier Grüber (l’autore di “Stille nacht”); ma l’esempio più elevato è rappresentato proprio da quella di Schubert, che scrive, secondo l’uso, otto inni:

–          Per l’”Introito” (“A chi devo rivolgermi, quando pena e dolore mi opprimono?…”)
–          Per il “Gloria” (“Gloria a Dio, così canta la santa schiera celeste…”)
–          Per il Vangelo[1] e il “Credo” (“La creazione giaceva informe. Dio disse: “Sia fatta la luce”. Così parlò, e la luce fu. E la vita si risvegliò…”)
–          Per l’Offertorio (“Tu ci hai donato, Signore, l’essere e la vita. Che cosa posso io dare a te, io che sono polvere?….”)
–          Per il “Santus” (“Santo è il Signore, Egli che non ebbe inizio, Egli che sempre fu…”)
–          Dopo la Consacrazione (“Contemplando la tua grazia e la tua bontà, o mio Salvatore, io ti rivedo nell’ultima cena. Tu spezzi il pane, tu alzi il calice, e proclami: <<Questo è il mio corpo. Questo è il mio sangue>>…”)
–          Per l’”Agnus Dei” (“Mio Salvatore, Signore e Maestro, la tua bocca benedicente disse: <<La pace sia con voi>>…”)
–          Canto di chiusura (“Signore, tu hai ascoltato la mia invocazione: il mio cuore batte di gioia…”)
Come si vede anche dagli “incipit” qui citati, il testo tedesco è un commento, una rielaborazione del corrispondente passo liturgico (e l’ultimo inno, che non ha un immediato riscontro nella liturgia, è la parafrasi di un salmo).
Dal punto di vista musicale, la “Deutsche Messe” di Schubert presenta aspetti sia del Corale, sia del Lied.
Il procedere omoritmico, l’assenza di disegni contrappuntistici, le frequenti corone l’avvicinano alla struttura del Corale; i morbidi e flessuosi incisi melodici, il trattamento semplice ma efficace dell’armonia, il carattere di abbandono sereno dei brani in sei ottavi (al “Credo” e all’”Agnus”), la raffinata delicatezza dei suggestivi pianissimi denotano lo stile straordinario del più grande autore di lieder della storia.
 Marco Faelli
[1] Anche il Vangelo era letto sottovoce durante il canto dell’inno: tanto, nessuno avrebbe capito nulla
Il programma musicale, dedicato ai primi romantici di area tedesca, prevede quindi: nella prima parte della serata, due brani di Franz Schubert (Lichtenthal, Vienna, 1797 – Vienna, 1828): Ouverture in Do maggiore «Im italienischen Stile» D. 591 e Deutsche Messe in Fa maggiore D. 872 (splendida pagina corale, dall’organico strumentale essenziale) e, nella seconda parte, di una delle sinfonie più amate del grande repertorio, l’evocativa Terza Sinfonia in la minore “Scottish” op. 56 di Felix Mendelssohn-Bartholdy (Amburgo, 1809 – Lipsia, 1847).
Quindi venerdì 21 febbraio alle 20.30 (turno A) e sabato 22 febbraio alle 19 (turno B), con il quarto appuntamento: Julian Kovatchev, interprete trascinante, proveniente dall’elitè dei Berliner Philharmoniker, che ritorna a Cagliari dopo aver diretto numerosi concerti ed opere liriche nelle stagioni passate, dirige l’Orchestra e il Coro del Teatro Lirico. Il maestro del coro è Marco Faelli

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