Pubblico volentieri il pensiero del tenore sardo Gianluca Floris a proposito  dell’Anfiteatro Romano di Cagliari circa la decisione di riportare solo a monumento ciò che per decenni è stato un grande palcoscenico per stelle di fama mondiale.

“All’anfiteatro vidi la mia prima opera nel 1986. Era l’Aida di Giuseppe Verdi con un cast fra i migliori: Giuseppe Giacomini come Radames, Maria Chiara era Aida e Fiorenza Cossotto una grande Amneris. La regia di Madau Diaz accontentava le aspettative di grandiosità dei profani e di intimità nel finale per i palati più fini.

 

In quella stagione su quello stesso palcoscenico si alternarono altri artisti come Maguy Marin e il balletto dell’Opera di Marseille.

Erano serate magiche spazzate e colorate al tramonto dal maestrale teso alle spalle dei fondali di cartapesta.

Qualche anno dopo, nel 1993, frequentai da interprete quel palcoscenico in una Carmen e in una Forza del Destino. Ricordo ancora la sensazione di entrare in scena sotto gli occhi degli allora più di quattromila spettatori. Ricordo le tensioni del pre spettacolo nei camerini di balsa, ricordo i vocalizzi nervosi dei colleghi e le battute degli addetti ai lavori. Ricordo gli applausi potenti e sinceri del pubblico disposto a tante scomodità pur di assistere allo spettacolo.

Ricordo gli appuntamenti con gli amici all’uscita davanti alla casa di riposo Vittorio Emanuele e le arrampicate per andare a recuperare la macchina parcheggiata a Buoncammino, ricordo il corteo degli spettatori che dilagava verso viale Merello e verso palazzo Griffa.

Quest’anno, durante il concerto di Paolo Conte, pensavo che forse era l’ultima volta che potevo fruire di quello spazio in maniera viva, che potevo sedermi a respirare l’aria di uno spettacolo estivo assieme a tanta gente, in uno spazio che da venti secoli, più o meno, a quello era stato adibito.

Ora, anche se sono lontano, leggo che l’anfiteatro verrà finalmente (sic!) restituito al ruolo di monumento.

Non posso però fare a meno di fare una riflessione a voce alta. L’anfiteatro romano di Cagliari, come tutti i teatri dell’antichità, nasceva non come monumento, ma come luogo di spettacoli per tutti, spettacoli popolari, spettacoli desiderati e fruiti da tutta la popolazione. Negli ultimi decenni l’anfiteatro di Cagliari era diventato luogo vivo di autentica fruizione culturale condivisa. Era il luogo dove convivevano le toilettes delle gran dame e i commenti salaci degli “intenditori” che rimanevano ad ascoltare dietro la cancellata con orecchie “portoghesi”.

Mi inchino al volere della maggioranza, ma non posso esimermi da denunciare lo spirito del tempo. Si preferisce sterilizzare l’anfiteatro, riportando alla luce i ruderi da ammirare, sottraendolo alla sua naturale vocazione: quella di luogo per spettacoli. Si preferisce ammirare delle pietre morte, anziché renderle vive con una fruizione intelligente e autenticamente legata alla tradizione della nostra città.

Possibile, dico io, che sia il solo a pensarla in questa maniera, a sentire l’enorme tristezza di un anfiteatro ridotto a sterile visita guidata per gruppi di crocieristi rossi e sudati? Possibile che nessuno abbia voglia di dire che le strutture lignee permettevano la realizzazione di spettacoli per molti spettatori senza sbriciolare la struttura rimasta? Possibile che non ci sia altro modo di fruire di un bene archeologico che non sia quello di metterlo sotto vetro come la mummia del Similaun?

Possibile che nessuno dei cagliaritani senta questa scelta come una sottrazione, come un impoverimento? Possibile?”

Gianluca Floris.

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