Debutta a Casa Saddi (via Enrico Toti, 24 Pirri) oggi 13 giugno 2025, ore 20, la nuova produzione de Il Crogiuolo – centro di intervento teatrale con protagonista Giuseppe Boy Io, “La breve storia del Fu Mattia Pascal”, progetto per un monologo tratto da Il Fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello, scritto, diretto e interpretato da Giuseppe Boy.
Repliche il 14 e 15 giugno rispettivamente ore 20 e 18.30.
Prenotazione al numero 334 882 1892
L’idea alla base del progetto è quella della realizzazione di uno spettacolo da salotto, semplice e colloquiale, in cui un invecchiato Mattia Pascal racconta la sua vicenda ai suoi ospiti riuniti nel salotto di casa sua.
La riduzione in monologo del romanzo mette in primo piano il tema della rivendicazione della propria identità, tema che pervade l’intero romanzo e che lo fa apparire perfettamente contestualizzato e aderente alla realtà odierna, in cui tale rivendicazione ha assunto valori determinanti.
Nello scriverla l’intento era, da un lato, di mantenere il più possibile intatta la lingua pirandelliana, il suo lo stile e la sua poetica e, da un altro lato, di raccontare solo quei fatti ritenuti essenziali, come lo stesso Pirandello enuncia nella prima parte del romanzo.
Si è voluto approfondire al massimo il concetto di essenzialità, escludendo dal racconto qualsiasi divagazione e riducendo al massimo il racconto delle motivazioni o delle giustificazioni che hanno portato Mattia Pascal ad approfittare delle circostanze che la fortuna gli ha offerto perché potesse essere un altro uomo e vivere un’altra vita.
Il fatto che questa ricerca si riveli in conclusione un’illusione ci riporta inequivocabilmente alla condizione in cui molto, forse troppo spesso, ci ritroviamo a vivere noi, umani occidentali del ventunesimo secolo.
Lo spettacolo vuole essere una forma di intrattenimento. Non pretende di essere nulla di più. Ci sono diversi tipi di intrattenimento. Accanto a quello a cui in genere si attribuisce il termine, intendendo una forma leggera di spettacolo, che non va troppo al di là della superficie dei temi che tratta, il cui fine è quello di rilassare e distrarre il pubblico, ce n’è un altro che invece cerca di andare nel profondo delle emozioni e dei pensieri, pur con lo scopo di intrattenere gentilmente il pubblico, come un padrone di casa intrattiene i suoi ospiti.
La breve storia del Fu Mattia Pascal appartiene, nei suoi intenti, a questo secondo tipo di intrattenimento.
La riduzione del romanzo in forma teatrale ci conduce alla necessità di una recitazione naturale, quasi cinematografica, per imprimere maggior forza ad una quotidianità in cui chiunque ha la possibilità di riconoscersi. Chi non ha mai pensato di desiderare di vivere un’altra esistenza per poter uscire dalle difficoltà che la vita gli impone, quando non sembra esserci una via d’uscita?
Mattia Pascal racconta, passeggia per il salotto/palcoscenico, beve, forse fuma, conversa con i suoi ospiti/pubblico, cercando solo ed esclusivamente quell’empatia che naturalmente può sorgere fra esseri umani che si sentono simili fra di loro, quando qualcuno si apre agli altri, si confida, mette sé stesso a nudo di fronte agli altri, per il solo scopo di comunicare le proprie esperienze, attraverso le proprie emozioni, senza per questo voler stupire o scandalizzare gli altri.
Il racconto è intervallato da brevi interventi musicali. La scelta della musica era caduta, inizialmente sui quartetti d’archi di Arnold Schomberg, composte nello stesso periodo in cui il romanzo è stato scritto, anche se non esiste nessun parallelismo fra i due autori.
Nel corso della produzione la violinista Angelica Turno ha elaborato una sua personale visione delle musiche di Schoemberg, ispirandosi ad esse per comporre una serie di interventi musicali originali.
Come nel romanzo pirandelliano, il Mattia Pascal del monologo, all’inizio della sua narrazione si auspica che il suo “caso così strano” possa essere d’insegnamento per chiunque. E questa funzione pedagogica si rivela nella conclusione quando afferma che “al di fuori della legge e di quelle particolarità, liete o tristi che siano, per cui noi siamo noi, non è possibile vivere”.
