Qualche giorno fa un’amica che si sta avvicinando al mondo della musica classica da qualche mese, mi domandava il significato della “voce che corre” , frase che che ha sentito spesso alla fine dei concerti. Le ho spiegato che è un termine tecnico che sta ad indicare una voce o anche il suono di uno strumento, che arriva in maniera nitida all’ascoltatore che si trova anche nella poltrona più lontana dal palcoscenico.
Ricordo il mio primo maestro di canto che diceva spesso di non fidarsi delle voci che a pochi metri di distanza sembrano enormi, non è detto che queste “corrano” cioè arrivino lontano “bucando” l’orchestra. Il cantante o il musicista solista, come ho sempre detto, non usano amplificazione meccanica e quindi l’ampiezza della voce l del suono dipende dalla corretta impostazione , (nel caso di uno strumentista dal tocco dello strumento) affichè possa arrivare lontano sfruttando tutte le cavità della “maschera” (ossa craniche). Spesso una voce piccola ma ben timbrata e ben sostenuta da una buona respirazione, può arrivare lontanissimo. Impossibile dimenticare una Boheme cui assistetti all’Arena di Verona, (gli anni in cui non si usava l’amplificazione), la cui protagonista era la grande Raina Kabaivanska, famosa per i  filati, suoni impalpabili che raggiungevano ogni algolo dell’antica struttura. Grande maestra di tecnica del belcanto.

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