Fin da bambina ho apprezzato il Quartetto Cetra, che vedevo in TV spesso in parodie musicali. Un quartetto davvero fantastico per il loro modo di cantare e anche recitare. Mio padre era un appassionato di questo genere e mi ha trasmesso la passione. Ultimamente mi sono imbattuta casualmente in due brani particolarmente interressanti. Il primo , “Però mi vuole bene”, è una vera e propria denuncia alle violenze femminili.Il Quartetto, anche se in maniera ironica, con questo brano mette in evidenza quanto a volte, certe donne non vogliono vedere chi hanno accanto, con tutti i rischi che corrono. La cronaca ogni giorno ci informa di episodi che dovrebbero far riflettere.
Il secondo brano riguarda la vita musicale che un tempo si diceva d’elite: la lirica. Un brano che oggi, dopo diversi anni dalla pensione del mio lavoro al Teatro Lirico, mi commuove quando lo ascolto, nel ricordo di quelle serate vissute dall’altro lato del pubblico: il palcoscenico.
“Un palco della Scala” e’ uno dei capolavori prima maniera del trio Garinei-Giovannini-Kramer, scritto per la rivista Gran baraonda (1952) – con Wanda Osiris e Alberto Sordi – e consegnato al Quartetto Cetra, che ne ha fatto un proprio cavallo di battaglia oltre che un modello di canzone-spettacolo.
Il brano ha infatti vissuto di vita propria come singolo a 78 giri, incluso poi in varie antologie a 33 giri e reinciso più volte nell’era del CD. Testo e musica omaggiano il tempio della lirica meneghino, le voci che l’hanno reso famoso, i musicisti, le opere e le mode in un’ottica nostalgica nei confronti di un rituale che si rinnova da oltre un secolo: la passione condivisa per la grande musica, con il suo contorno di convivialità (“l’appuntamento nel buffet/un sorso di marsala/due tre marron glacés/e all’uscita la fioraia della Scala/offre un mazzolino di pansé). Già da queste sofisticate rime in un francese allora più che adesso parte integrante della lingua italiana (d’élite – appunto…) si avverte la tronfia sicumera di un pubblico borghese che alla Scala celebra i propri miti e corrobora le proprie certezze.
La canzone è ambientata “nel gennaio del novantatrè”, che fa rima con décolleté e coupé. La Milano che conta è venuta ad applaudire Tamagno, la Bellincioni e Stagno (divi dell’era pre-disco), in un cartellone che include Massenet, Bizet, Verdi e Puccini. Poi arriveranno Mascagni e Zandonai, e quindi il valzer – qui la musica passa dallo swing al tre quarti – poi rimpiazzato dall’Americano a Parigi portato da Toscanini – e anche in questo caso si avverte la citazione di Gershwin. Kramer è stato uno dei più importanti jazzisti italiani e i Cetra – già cresciuti con il mito del jazz – ne hanno assimilato lo spirito con ironia, confezionando una delle loro interpretazioni più riuscite.
Felice Chiusano (1922-1990), Giovanni “Tata” Giacobetti (1922-1988), Lucia Mannucci (1920-2012) e Virgilio Savona (1919-2009), marito della Mannucci.