di Renzo Allegri
Il 25 marzo di 150 anni fa, moriva il grande direttore d’orchestra che fu anche nobile esempio di etica civile.
 Restituiva parte dello stipendio 
A cominciare dal 1921, Arturo Toscanini divenne per la secon¬da volta direttore artistico della Scala. Vi rimase per una decina d’anni. E furono gli anni del maggior splendore della storia del Teatro milanese. Toscanini portò questo teatro ad essere il più pre¬stigioso del mondo. Lo prese da zero.
La Scala non aveva mai avuto un’orchestra autonoma. Toscanini la fondò, la formò e la portò a competere con i più celebri complessi. Sotto la sua direzione artistica, gli spettacoli lirici alla Scala non erano inferiori a quelli di nessun altro teatro. E lui era il dittatore, l’imperatore, colui che plasmava tutto. Dirigeva l’orchestra, formava i cori, suggeriva le scene, presiedeva alla regia. Era autore di tutto.
Nel 1972, Wally Toscanini, figlia del grande direttore, in un lungo memoriale che pubblicai in sei puntate su “Gente”, mi raccontò questo straordinario e singolare episodio:
«Quando la Scala divenne Ente Autonomo, mio padre cominciò la sua attività a pieno ritmo. Gli orchestrali e tutti gli altri dipendenti percepivano regolare stipendio. Anche mio padre, come direttore dell’orchestra, era un dipendente ed era stipendiato. Egli non volle però mai essere pagato durante i mesi in cui la Scala restava chiusa. Diceva: “In questi mesi io non lavoro e quindi non devo farmi pagare“.
Il sindaco Caldara venne più volte a casa, a parlare con nostro padre di questo argomento. Gli diceva: “Lei, maestro, lavora per noi non solo quando viene a fare le prove o quando dirige i concerti, ma anche quando studia gli spartiti o si occupa dell’organizzazione della stagione successiva. È un dipendente della Scala e come gli altri dipendenti ha diritto a uno stipendio per tutto il tempo dell’anno“.
«La sua scrupolosa onestà raggiunse forme di pignoleria incredibile. A volte accadeva che durante la stagione della Scala egli dovesse assentarsi per una settimana o due, o anche un mese. Era chiamato a dirigere qualche concerto importante all’estero. Quando tornava, si chiudeva nel suo studio e faceva complicate operazioni sullo stipendio che riceveva dalla Scala. Sottraeva una parte della somma, corrispondente al periodo di tempo di assenza, e la restituiva all’amministrazione del Teatro dicendo: “In questi giorni non ho lavorato e quindi non devo essere pagato“.
«Per consuetudine, un palco della Scala era riservato, gratuitamente, alla famiglia del direttore d’orchestra. Mio padre non volle mai usufruire di questo beneficio: pagò sempre, come un qualsiasi altro cittadino, il palco che, durante i concerti, veniva occupato da sua moglie e dai suoi figli».
 
RENZO ALLEGRI
Dopo aver studiato alla “Scuola superiore di Scienze Sociali” dell’Università Cattolica del Sacro Cuore diventò giornalista lavorando successivamente per diversi giornali fra cui Gente con cui strinse un rapporto che durò 24 anni. È stato anche caporedattore per lo Spettacolo del settimanale “Noi” e del settimanale “Chi”.
Come scrittore ha pubblicato una cinquantina di libri, tra cui diverse biografie. Da una di queste, Padre Pio un santo tra noi , è stata ricavata la sceneggiatura del film Padre Pio di Carlo Carlei prodotto nell’anno 2000: l’attore principale era Sergio Castellitto. Il figlio Roberto Allegri è anch’egli giornalista e scrittore.
 

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