Ritornare al mio Poetto, anche solo per poche ore ogni estate, è una sensazione bellissima. Io sono nata e cresciuta qui, in questa spiaggia,  dove dai primi di giugno alla fine di settembre ci si vestiva solo col costume da bagno e la nostra “villetta estiva” si chiamava Casotto e distava dalla riva poco meno di 100 m.

Solo noi cagliaritani comprendiamo il significato del “suono”  delle ondine, del profumo di salsedine, dei piedi a mollo sulla battigia dove le  mormorette e gli avannotti a vista solleticano la punta delle dita!

Per me il Poetto d’estate è una sorta di palcoscenico a cielo aperto, sarà una deformazione professionale, ma vi giuro che se oggi avessi potuto farne un film avrei dato del filo da torcere  ai fratelli Vanzina.

Allora, come oggi, andare al Poetto di domenica però, è sempre un’impresa soprattutto per chi non si appoggia, per vari motivi (soprattutto economici) agli stabilimenti o alle cooperative.

Il primo ostacolo è il parcheggio. Alle 9,30 ci si ritiene fortunati se si trova un aborto di parcheggio sul ciglio dello stradone. Chi arriva mezz’ora dopo quasi sicuramente è costretto a rinunciare al bagno domenicale oppure si mette in attesa per  il secondo turno e cioè quando i  mattinieri decidono di rientrare intorno alle 11,30

La spiaggia,  già superaffollata, crea la  difficoltà a trovare uno spazio per l’ombrellone.

Però, una volta superati gli ostacoli e seduti negli spiaggini ci si sente come a teatro. Ogni cosa che gira  intorno è già parte di una grande commedia vista e rivista con qualche variante.

Quanto una persona vi osserva con insistenza  quasi imbarazzante, vuol dire che ha qualche cosa da chiedervi. L’ipotesi più accreditata è quella che a breve vi domanderà la custodia delle loro borse durante il bagno. Ci si sente lusingati nel capire che  abbiamo una faccia che ispira fiducia. Persone mai viste che ti affidano i loro oggetti personali di questi tempi, non è da poco.

La tecnologia ha preso il posto dei giornali. Un tempo, sotto l’ombrellone si sfogliava “l’Ugnone” che, aperto, faceva ombra ai piccolini che giocavano con paletta e secchiello. Oggi c’è l‘Ipad e gli smartphone che non fanno ombra ma in compenso sono un continuo spunto di crastulo. Gli adolescenti , si riuniscono con il loro telefonini per sbirciare a lungo su Istagram e Facebook tutte le foto personali dei  compagne di scuola con annessi commenti di ogni genere.

Poi ci sono i gruppi di famiglie, quelli senza figli ma con amici, diciamo di mezza età,  in spiaggia dalle prime ore del mattino. In genere giungono da qualche paesino del Campidano. Giocano  a lungo   a carte e ogni tanto danno uno sguardo alle loro borse frigo . Si capisce che non vedono l’ora di aprirle per tirare fuori ogni ben di Dio  anche se l’ora del pranzo è ancora lontana. 

Finalmente anche io decido  di prendere  un po’ di sole avviandomi verso la battigia. Devo dire che da questa postazione si può considerare l’inizio  del secondo atto della commedia.

Prima di tutto la passerella, ( perchè di questo trattasi) , sul bagnasciuga: ragazzi e ragazze  con tatuaggi in ognidove, che percorrono vasche avanti e indietro mostrando i risultati del lavoro invernale in palestra.  In questo via vai  c’è l’ex playboy infiltrato, che ha dimenticato gli anni a casa.  Per qualche minuto  tenta di mostrare i pettorali mandando dentro gli addominali con un risultato alquanto patetico soprattutto nel tentativo di  “abborsare” la 20enne di passaggio. La frase: “ehi nonno, dove hai lasciato il bastone!”, fa sorridere diverse persone intorno.

Naturalmente non può mancare il capannello di signore di mezza età che parlando di cucina, alternano la descrizione particolareggiata di  ricette super caloriche a frasi del tipo: “Ceeee, bisogna che prima o poi mi metta a dieta“. Di rimando i loro mariti, poco più in là, si confrontavano sulle squadre di calcio e i giocatori più quotati. Inevitabile la frase: “ma Giggiriva era tutta un’altra cosa!” Immancabile il tentativo di una finta allerta ad ogni passaggio di venditore africano, con frasi del tipo “non sono razzista ma…”

Per un attimo i miei pensieri volano indietro nel tempo. Rivedo la mia infanzia lì, con i miei genitori e i loro amici che chiacchierano  di cucina e calcio. In mano non hanno lo smartphone ma una lenza  e, in attesa che il “mummungione” abbocchi, si confrontano su come cucineranno il pescato. Tutti in fila lungo la battigia mentre noi bambini cerchiamo nella sabbia umida le telline e i vermetti per le loro esche.

Un gridolino mi risveglia da quei ricordi. E’ un bambino di pochi anni che con gioia ammira l’aquilone che suo padre è riuscito a far volare. Un aquilone di carta che, nonostante la tecnologia, ancora stupisce  e fa gridare di gioia un’innocente.


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